La Passione delle donne di scienza

 

La passione delle donne di scienza

articolo di Emanuela Matrigiani


I dati non mentono!

Parlare di donne nell’ambito scientifico è importante, soprattutto se a parlarne sono le donne stesse. Secondo un rapporto dell’Unesco, in Italia e in Francia, così come nel resto del mondo, a studiare le cosiddette materie stem vi sono meno ragazze - che costituiscono solo un 35% - rispetto ai ragazzi. 
Essendo queste materie considerate “i posti di lavoro del futuro” per via del contributo che forniscono alla società, è allarmante la disparità di genere che si riscontra nello studio delle suddette. 
Per promuovere l’abolizione degli stereotipi di genere è quindi fondamentale affrontare la questione durante il processo educativo, proponendo testimonianze di donne che possano diventare modelli e punti di riferimento per le giovani ragazze, motivandole così a perseguire un percorso di studi in questo settore. 
L ‘Instituto Francais Italie pertanto aderisce all’iniziativa riportando le esperienze di tre “straordinarie donne di scienza”.



LE PERSONALITÀ FEMMINILI CHE VENGONO PRESENTATE HANNO AFFRONTATO PERCORSI DI STUDIO DIFFERENTI MA OGNUNA DI LORO È ACCOMUNATA ALL'ALTRA DALLA FORTE PASSIONE CHE LE HA SPINTE A SFIDARE SE STESSE E CHE LE HA RESE AD OGGI FONTE DI GRANDE ISPIRAZIONE.

CONOSCIAMO LE DONNE DI SCIENZA…


Claudie Haigneré, si è da sempre distinta nello studio, conseguendo la maturità all’età di soli 15 anni e laureandosi successivamente in medicina. È a 28 anni che viene scelta come astronauta da parte del CNESS. 
La sua prima missione denominata Cassiopea, alla quale parteciperà 11 anni dopo, non è che l’inizio del suo percorso. 
I dati parlano chiaro (nonostante ad oggi fortunatamente le cose stiano cambiando) e solo il 10% delle donne nella storia sono state astronaute; lei è stata la prima donna francese.
 Ha da sempre avuto una grande passione per lo spazio e ha deciso di non tirarsi indietro e di seguire il proprio sogno fino in fondo; ad oggi partecipa regolarmente a conferenze per diffondere il suo messaggio di fiducia presso le ragazze. 

Ad aver intrapreso il percorso scientifico con qualche insicurezza sono state invece Chiara Montanari e Alessandra Sciutti: entrambe affermano infatti di averlo scelto soprattutto per le solide opportunità lavorative che possono offrire le facoltà STEM e di essersi in seguito appassionate alle discipline studiate. 
Ora, Chiara Montanari fa parte del progetto Concordia, una base di ricerca internazionale in Antartide, e lavora al fianco di persone di culture differenti, specializzate nei più svariati mestieri; Alessandra Sciutti, laureata in bioingegneria e specializzata in biorobotica, è invece responsabile dell’unità contact dell’Istituto italiano di tecnologia. 
Alla base della discussione si trova sicuramente il superamento delle diversità. 
L‘esperienza di queste tre donne di scienza infatti sottolinea un concetto semplice, che spesso viene tuttavia dato per scontato: l’appartenenza di ognuno di noi al genere umano. In fondo, al di là della specializzazione che si possiede e della propria cultura, siamo tutti simili e parti egualmente importanti del progetto cui si sta lavorando. 

Come raccontava Chiara Montanari, “non si può sopravvivere in Antartide senza l’aiuto di ognuno dei funzionari” e lo stesso avviene anche in una missione spaziale, in cui, allontanandosi dal pianeta ed osservandolo dall’alto, non si può fare a meno di “sentirsi parte dell’umanità”. 
La collaborazione costituisce effettivamente uno degli aspetti principali quando si parla di progetti scientifici e imparare a porsi delle domande e lasciarsi aiutare anche dagli altri collaboratori per trovare delle risposte rappresenta una delle tante sfide necessarie al fine di migliorare il mondo.

A scuola ci vengono fornite delle nozioni teoriche ma bisogna essere in grado di andare oltre e di fare esperienze per riuscire a crescere a livello lavorativo. 
L‘essere donna non costituisce assolutamente un impedimento per essere parte del cambiamento che il progresso scientifico opera nel mondo: è infatti possibile coniugare il lavoro all'essere madre e moglie. Clodie racconta la sua personale esperienza, sottolineando che la determinazione permette di raggiungere qualunque obiettivo ci si ponga nella vita. 
Lei è infatti riuscita ad avere figli e contemporaneamente non abbandonare le missioni spaziali, sostenuta sicuramente dal marito, anche lui astronauta, e da altre figure professionali che sono state in grado di aiutarla a bilanciare questi due aspetti della sua vita (“non parlerei di sacrificio; avevo voglia di raggiungere questo obiettivo e la vita mi ha fornito molte occasioni per realizzarmi in entrambi i campi”). In fondo il superamento delle sfide si trova alla base di qualunque percorso scientifico, soprattutto nell’ambito della ricerca: l’Antartide diventa per Chiara metafora di tutto questo (“in Antartide ho imparato a capire quando è giusto ritirarsi e a non mollare mai”).


Il suo clima estremo e l’ambiente inospitale rendono difficile prevedere gli imprevisti, che devono essere affrontati unendo le conoscenze acquisite nel periodo degli studi ad escamotage creativi. 
Non a caso creatività, insieme a curiosità e bellezza, sono alcune delle parole chiave (“c’è tanta emozione nella scienza”): senza queste qualità non sarebbe possibile parlare davvero di scienza. Nonostante questa possa sembrare una disciplina metodica infatti, la scienza si basa in realtà sul superamento dell’astrazione e della teoria attraverso la curiosità. 
Questo giustifica anche la risposta alla domanda “serve essere particolarmente portati per intraprendere un percorso scientifico oppure basta la passione?”, posta durante la conferenza, che era risultata a favore della passione piuttosto che della predisposizione naturale. Bisogna mettersi in gioco a prescindere da quanto ci si ritenga bravi a fare qualcosa, poiché, fintanto ci sarà amore in ciò che facciamo, saremo sempre determinati a portarla a termine e riusciremo. 


A trattare un altro importante tema durante la conferenza è Alessandra Sciutti che racconta la propria esperienza con le intelligenze artificiali, che ci fa inevitabilmente riflettere su quanto ancora dobbiamo conoscere di noi stessi. 
Ci sembra di conoscere cosa ci contraddistingue dagli altri e che cosa ci rende intelligenti ma quando ci accingiamo a impostare un robot e a riportare l’intelligenza in lui ci rendiamo conto di non possedere davvero la comprensione del termine.
 Come si può in questo contesto quindi non ritenere necessarie le conoscenze sia maschili che femminili?
 
L‘intelligenza è infatti un aspetto sicuramente legato alla socialità (non basta saper risolvere calcoli complessi o riuscire a battere qualcuno nel gioco degli scacchi, fa notare Alessandra, essere intelligenti vuol dire comprendere lo stato d’animo di chi ci circonda con uno sguardo, capire come aiutarlo, di cosa potrebbe avere bisogno) che accomuna tutti gli essere umani, a prescindere dal genere a cui appartengono. 

Per concludere la riflessione vorrei citare l’appello di Clodie rivolto a tutte le giovani donne, a mio parere non applicabile solo nell’ambito delle scienze ma più in generale nella vita di tutti i giorni: “non aspettate di essere perfette per fare ciò che amate”.

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