Dicti Maiorum: Rubrica di sentenze e proverbi latini e greci

di Francesco Pio Ceroni


Che cos’è un proverbio? Una domanda del genere non può essere di certo oziosa, né la risposta facile e univoca: stando all’accezione più comune del termine, si potrebbe dire che per proverbio s’intende una frase provvista di una normale formulazione grammaticale divenuta tradizionale, alla quale si attribuisce un crisma di verità indiscussa, frutto di una saggezza antica e popolare. Di solito infatti si parla di “sapienza dei popoli” attribuendo l’origine di questi proverbi lontana da tutto ciò che possa essere collegato alla sfera intellettuale, e quindi ad una visione della vita concreta e attaccata alla realtà delle cose. Spesso però i proverbi sono lo specchio di numerosi topoi letterari, e questa rubrica mostrerà come all’interno di semplici frasi possa nascondersi la completezza di un’intera cultura, dai costumi alle abitudini, dagli avvenimenti che riguardano le comunità alla mentalità dei singoli individui. Non ho scelto a caso la cultura latina e greca, Poiché una buona parte del materiale riportato in questa rubrica ha condizionato (e ve ne accorgerete) molti detti utilizzati nell’italiano corrente. Non mi dilungo oltre questa introduzione, e vi do il benvenuto alla rubrica “Dicti Maiorum”.

Francesco Pio Ceroni

 

Quod est ante pedes nemo spectat, Caeli scrutantur plagas

Nessuno bada a ciò che ha tra i piedi, stanno a scrutare le immensità del cielo.

 

Astronomo che sta per cadere nel pozzo, illustrazione tratta dalla favola di La Fontaine


La sentenza di oggi viene formulata da Achille nella Ifigenia (I a.C.) di Ennio, la quale riprende un topos con cui già i greci ridicolizzavano i filosofi, colti nella loro nobile attività di esaminare e scrutare ciò che è imperscrutabile: il motivo è presente in Sofocle, mentre Aristofane, nelle sue Nuvole (423 a.C.), rappresenta Socrate in una cesta appesa al soffitto del suo pensatoio e in un frammento paragona due attività dello stesso filosofo in opposizione fra di loro, il meditare su ciò che non appare e il cibarsi dei frutti della terra. Allo stesso tempo Eupoli fa satira sul cialtronismo di Protagora che pur occupandosi di cose elevate, mangia ciò che è prodotto dalla terra. Grande fortuna ebbe la storia - parzialmente ripresa anche in una favola di Esopo - dell’astronomo caduto in un pozzo perché intento a scrutare le stelle, e sono infine presenti delle variazioni in un epigramma funerario dell’Antologia Palatina (ca. X secolo a.C.) per un astronomo ucciso dal morso di una vipera nel quale l’autore, Antipatro Sidonio, conclude col rimpianto che una persona, per guardare gli uccelli del cielo, non abbia scorto il pericolo che strisciava sotto i suoi piedi.

Nel mondo latino viene ripreso lo stesso concetto, pur discostandosi dall’aneddoto dell’astronomo: in una lettera di Plinio il Giovane (8,20,1) si può leggere per esempio che si organizzano viaggi per intraprendere cose lontane, mentre ea sub oculis posita neglegimus “trascuriamo le cose che abbiamo sotto gli occhi”. In entrambe le culture esiste poi un semplice modo di dire usato anche nei nostri giorni in cui il non vedere ciò che si trova ai nostri piedi indica scarsa intelligenza.

Oggi la raffigurazione dell’astronomo nel pozzo è ampiamente usata, mentre a livello di modo di dire l’italiano moderno preferisce Non vedere più in là della punta del naso oppure Non pensare più innanzi di quello che si ha davanti agli occhi. Merita una menzione il corrispettivo tedesco, Er sieht was fliecht, aber nicht was kriecht, "lui vede ciò che vola, ma non ciò che striscia" che ricorda in maniera piuttosto curiosa una situazione simile al passo dell’epigramma funerario.

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