EDVARD MUNCH, TRA ALCOOL, GENIO E FOLLIA


di Francesca De Ingeniis


"Madonna", 1894 (olio su tela), Oslo, Munch Museet 

Edvard Munch, un nome abbastanza noto, lo si sarà sicuramente studiato alle medie, ristudiato alle superiori, visto in qualche mostra.

Quei quadri un pò strani, monotoni, tristi e freddi.

Ma la sua pittura non si racchiude solo in queste quattro parole.

Dietro alla sua arte si cela un passato contorto, straziante, accerchiato dalla morte, un bambino condannato sin da piccolo ad affrontare i suoi mostri da solo, che lo renderanno un folle, un uomo fatto di ansie e dubbi, disturbi depressivi e spunti paranoici, dipendenze alcoliche che però gli consentiranno di riscoprire il senso della propria pittura.

In un mondo fatale che sembrava volerlo condannare al dolore, l' arte fu per Munch un aggancio positivo, che gli permise di dipingere i suoi sentimenti, mettendosi a nudo davanti a tela e pennelli.

La scrittura fu per Edvard un' ulteriore àncora di salvezza, le parole entrarono a far parte delle sue incisioni o cornici, il confine con il disegno si fece poroso.

Leggendo i suoi appunti, si ha come la sensazione che l'artista procedesse assediando un' idea, sondandola con la fotografia, tentando di razionalizzarla narrativamente e ricomponendola pittoricamente sino a saggiarne tutte le possibili soluzioni.

Partiva da un evento, spesso autobiografico, che rielaborava senza sosta fino a farlo diventare un fatto artistico, capace di vivere di vita propria, assorbendo ogni sfumatura che colora l' aria.

Edvard voleva vivere per dipengere, doveva pertanto riuscire a gestire il calore dell' ispirazione e della follia, senza per questo scivolare nell' apatia borghese.

Tracciò quindi per sé un percorso in bilico tra la strada maestra e l' abisso, come un funambolo che riesce a non cadere solamente mantenendosi in oscillazione: "Io cammino lungo un sentiero stretto. Da un lato un precipizio scosceso, un abisso dal fondo senza fine, un fondo di profondità abissale. Dall' altro i prati, le montagne, le case, la gente. Io cammino e vacillo su questo crinale. Sono sempore sul punto di cadere nel precipizio, ma allora mi protendo verso il prato, le case, le montagne, la gente."


"Il bacio", 1897 (olio su tela), Oslo, Munch Museet


Salomè o perfide donne fatali, il ricordo costante di vampire, assassine o pietrificanti Meduse e un mondo nel quale i capelli delle sue donne ghermiscono amanti svuotati di energia e alimentano l' idea di un' attitudine misogina.

Nel momento della "congiunzione" si oltrepassa la distinzione tra generi, ne "Il bacio"  gli amanti non sono maschio e femmina, tornano a essere l' unità organica che Przybyszewski definì "una pozza di carne liquida".

L' informe è il volto "deviseificato" della volontà primigenia e il sesso non è tanto una ridiscesa nell' animale dell' umano, quanto l' imperiosa necessità che rigenera costantemente l' animale mondo e che muove, dal profondo, pulsioni e ideali, illusioni e violenze.

Se la natura è una creatura vivente, e Munch era persuaso che anche le pietre fossero vive e vibranti, gli esseri umani sono agiti come burattini, proprio a causa della convinzione che l' esistenza presenti un numero di varianti molto limitato e comunque incentrato intorno a pochi temi chiave: amore, inquietudine e morte.

Temi con cui convive ancora oggi anche l' uomo moderno, che continua ad essere influenzato, pur non volendolo ammettere, dalla mentalità degli uomini di generazioni passate, che continuano a tramandarci vane eredità, che affliggono l' uomo e continueranno ad affliggerlo finché non imparerà a liberarsi dei mostri che non vogliono cessare di far parte di noi e di vivere dentro di noi.

L' uomo moderno ha la consapevolezza di essere il frutto di mutamenti di generazioni, ma la verità è che a malapena riesce ad ammetterlo a sé stesso, nonostante voglia continuare a negarlo, forse per una strana voglia di considerarsi il risultato di un processo che non è concluso ma che considera concluso con il proprio arrivo.


"Autoritratto all' inferno", 1895 (olio su tela), Oslo, Munch Museet

Diventa sempre di più un eterno cancellare la propria origine, che viene annegata, soffocata, ripudiata ad opera di uno strano concetto di modernità, subentrato dal profondo, che arriva di notte, ti entra nel letto e si impossessa di te, uno sconosciuto troppo invadente, un parassita che vive del tuo pensiero, e lo muta, lo riformula, lo smentisce e poi ti mormora che va bene così, che è giusto che sia così perché non stai facendo nulla di sbagliato.

Edvard è riuscito a convivere con la sua follia, la sua dipendenza dall' alcool per imparare a sbarazzarsi del mondo reale, ha imparato a controllarsi, perlomeno a provarci, non ha rigettato il suo essere, ma lo ha conosciuto e lo ha fatto conoscere.

Non ha disprezzato le origini, ma le ha divulgate.




Ed è in questo, che tutti dovremmo prendere esempio da lui.

Commenti

Post popolari in questo blog

Romics 2022: una mia prima, nuova esperienza

Insieme siam partit3, insieme torneremo: non una di meno, non una di meno!