Gli esperimenti dei Nazisti: brutalità e perversioni in nome di una tragica Scienza

di Francesco Pio Ceroni



Sappiamo tutti cosa avvenne nei campi di concentramento nazisti, e chi non lo sa ancora s’informi. Le informazioni pervenuteci fino ad oggi dicono, anzi, urlano le sofferenze, le perdite e le bestialità che sono impossibili da comprendere, come dice Primo Levi, ma necessarie da conoscere.


Figura 1, Ingresso del Mauthausen Konzentrationslager, uno dei più abbondanti di “materiale umano”

Nella prefazione di uno dei suoi capolavori, “I sommersi e i salvati”, l’autore ammette che la forma più pura di verità sui campi di concentramento si trova nella tomba di coloro che ci hanno perso la vita all’interno, e che la maggior parte dei sopravvissuti all’Olocausto si trovava in una posizione privilegiata – una conoscenza o un’abilità utile nei lavori forzati – che permetteva loro non dico di vivere, ma di sopravvivere in condizioni meno peggiori di quelle degli altri prigionieri.

La verità quindi fu taciuta. Taciuta dalla Morte e dalla sua falce. Essa, tuttavia, per un momento si sentì sicuramente in disparte: glaciale e pronta a colpire, più volte non si accorse che un medico con una siringa di cloroformio o con una botta in testa faceva sempre in tempo a rubarle il posto. Moltissimi uomini, donne, ragazzi e bambini di tutte le età potrebbero raccontare, da morti, la stessa quantità di informazioni di un sopravvissuto se non maggiore tramite gli esperimenti scientifici che i medici nazisti intrapresero senza alcuna dignità su centinaia di migliaia di soggetti e che ancora oggi costituiscono un triste capitolo della Scienza e dell’intera Storia.

Questi brutali esperimenti furono condotti in quasi tutti i campi di sterminio, specialmente quelli di Dachau, Mauthausen e Auschwitz-Birkenau. Per comprendere meglio potremmo classificare la totalità degli esperimenti in due macrogruppi: il primo, quello finalizzato allo studio ed al miglioramento delle possibilità di sopravvivenza dei soldati; il secondo, molto più “nobile”, finalizzato al miglioramento della razza.


Figura 2, Immagine di un bambino ebreo trovato dagli Alleati al termine della guerra.

Iniziamo con quello apparentemente più innocente. Cosa potevano far provare ai prigionieri che potesse essere un giorno utile ai soldati? I vaccini, prima di tutto. In quel periodo i nazisti avevano così tante cavie che un effetto collaterale scatenatosi era l’ultimo dei loro problemi. Le principali epidemie erano la malaria e la febbre gialla, ma vennero sperimentate anche cure per la tubercolosi. In sostanza, i soggetti venivano infettati dalla malattia in questione e poi imbottiti con qualsiasi tipo di farmaci, tanto che la maggior parte dei prigionieri moriva a causa di questi pseudo-vaccini e solo un’esigua minoranza spirava di malaria o febbre gialla. Per i pochi che sopravvissero miracolosamente a tutto ciò, bastarono pochi giorni di lavori forzati ad assestare loro il colpo di grazia.

Può un aviatore tedesco lanciarsi con il paracadute da un’altitudine superiore al limite normale del respiro? La risposta, secondo i nazisti, era reperibile osservando la reazione dei prigionieri in cabine depressurizzate, i quali morivano annaspando per mancanza di ossigeno. I soggetti vennero testati inoltre a caldo e freddo estremi ed era sempre il solito finale: o si moriva durante l’esperimento, oppure ci pensava la vita nel campo.

Il partito di Hitler era fortemente basato su cardini eugenetici e la razza ariana doveva essere preservata da tutte le impurità. I nazisti non buttavano via niente, e spesso il decesso di centinaia di migliaia di vittime era preceduto e quasi totalmente causato da pseudo-esperimenti che avevano come fine lo studio della razza ariana, il miglioramento della stessa e la soppressione di tutte le altre. Troppi sono i crimini da elencare in questo gruppo, ma possiamo nominare i più atroci semplicemente citando il dottor Josef Mengele, che offrì un notevole contributo a quell’enorme carneficina.

Figura 3, Immagine del Capitano delle SS Josef Rudolf Mengele, soprannominato “Todesengel”, ossia “Angelo della Morte”
Mengele era affascinato dall’idea di scoprire un metodo che favorisse la proliferazione della razza ariana, e l’innumerevole quantità di “materia umana” che veniva riversata quotidianamente nei campi di concentramento fu per lui l’occasione perfetta. Aveva una particolare e malata predilezione per i gemelli – di qualsiasi razza, beninteso, purché gemelli – e secondo lui ogni parto gemellare possedeva un codice, una specie di "segreto genetico" che se scoperto e studiato poteva essere utilizzato per raddoppiare a comando le nascite,e quindi facilitare la proliferazione della razza ariana. Egli operava, operava, e operava senza sosta e senza dosi anestetiche su questi bambini che dopo un’infinità di test fisici dovevano stare per ore sotto i ferri di un animale, che senza un minimo di compassione li vedeva morire, o li uccideva lui stesso con quella famosa siringa.

Cito infine uno degli infiniti esperimenti inutili che non appartengono a nessuno dei due gruppi, esperimenti portati avanti solo dalla perversa curiosità dei medici nazisti e dal loro desiderio di fare carriera, esperimenti le cui sofferenze provate dai soggetti furono completamente insensate e non meno atroci. Josef Mengele condusse alcuni test sulla possibilità di variare il colore degli occhi ad un essere umano: iniziò ad iniettare del blu di metilene – un composto organico e nocivo dal colore blu brillante – nelle iridi dei pazienti. L’unico risultato fu la cecità, ma i corpi venivano in ogni caso usati per trasfusioni di sangue ed organi; i nazisti, come ho già detto, non buttavano via nulla.

Scioccati? E queste erano solo le testimonianze venute fuori dagli atti del Processo di Norimberga. Spero che la crudeltà e la malvagità descritte e sicuramente incontenibili in queste poche righe possa farci aprire gli occhi sull’Olocausto, sulle sue vittime e sull’importanza che la nostra memoria ha nei confronti di questi terribili avvenimenti.


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